“Kafka sulla spiaggia”, di Haruki Murakami. Il labile confine tra sogno e realtà

Debora Aprile.

di Debora Aprile

 

 

 

 

 

 

Il romanzo di formazione “Kafka sulla spiaggia” si snoda attorno le vicende parallele dei singolari protagonisti che vivono all’interno della storia: Tamura Kafka è un ragazzo di quindici anni, decisamente maturo per la giovane età che, spinto dal suo alter-ego chiamato Corvo, fugge dal padre e dalla macabra profezia che il padre stesso gli ha rivelato; Nakata, invece, è un uomo di settant’anni, ingenuo come un bambino, con la peculiarità di riuscire a interagire con i gatti in seguito a un incidente subito durante la guerra.
Nonostante i due si allontaneranno dallo stesso quartiere di Tokyo dirigendosi verso il sud del Giappone, non si incroceranno mai direttamente, bensì le loro storie confluiranno nella vita della signora Saeki, direttrice della biblioteca Komura. Lei sarà il vero e proprio nocciolo della vicenda. Sia Nakata che la signora Saeki posseggono metà ombra, però se Nakata non ha alcun ricordo e vive nel presente, lei è ancorata al passato. Tamura nella sua fuga si rifugerà nella biblioteca Komura, con la complicità di Oshima, e proprio lì incontrerà l’anima, vivente, della Saeki quindicenne innamorata.

La narrazione, ricchissima di allegorie e metafore, a tratti cruda e a tratti piacevole, dal linguaggio semplice, ci guida alla scoperta di questo viaggio onirico, dai margini labili, dove si perdono di vista l’inizio del sogno e la fine della realtà. Nonostante essa proceda lentamente, ci permette di amalgamarci totalmente alla storia e farla diventare nostra.
La caratterizzazione dei personaggi è abbastanza dettagliata, infatti le differenze tra i due protagonisti emergono sin dall’inizio, non considerando il fattore età. Tamura, nonostante l’aria da adulto che lo differenzia, rappresenta la personalità tipica dell’adolescente alla costante ricerca della propria identità. Sebbene cerchi disperatamente il proprio posto nel mondo, è evidente che il mondo in questione è lo stesso che respinge e dal quale scappa via. Non a caso, viene spesse volte ripetuta la presenza di un muro che lo circonda, chiara metafora che descrive la sua alienazione sociale. Al contrario di Tamura, Nakata è privo di introspezione e interiorità perché effettivamente non ha la benché minima idea di cosa siano.

Ciò che contraddistingue particolarmente questo romanzo è il compito al quale ci sottopone Murakami. Come i protagonisti del libro, anche noi lettori abbiamo un ruolo: penetrare nei recessi più reconditi della nostra stessa psiche, abbassare le difese, conoscerci. Gli elementi che ce lo fanno captare sono due, ovvero l’intensità con cui si è costretti ad abbandonare la propria razionalità che, invano, cerca di dare agli eventi delle spiegazioni motivate, e il finale aperto che lascia spazio alla fantasia. Di certo quest’idea potrebbe infastidire molti lettori, ma basta considerarla come una prova. Che scelta vogliamo fare? Vivere nel limbo onirico, dei sogni, dove tutto è possibile solamente nella nostra mente, o vivere e affrontare la vita reale?

Debora Aprile

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